venerdì 21 luglio 2017

In con gru enze

Per la maggior parte del tempo non penso sia tu.
Il resto del tempo lo passo a chiedermi, ma se non sei tu, chi altro mai potrebbe?
Nessuno.
Quindi la scelta è tra te e il nulla.
Sembrerebbe una scelta facile, ma non lo è per niente.
Il guaio principale è che accanto a te mi sento patetica e senza di te anche.
Quando sono con te non vedo l'ora di rimanere da sola e poi, quando sono da sola, non faccio che pensare a quando potrò di nuovo stare con te.
Mi sembra che tu abbia la forma di una enorme cospirazione che punta tutti i suoi istinti cospiratori nella mia direzione al solo scopo di annichilirmi.
Mi mette a disagio la tua presenza, ma sembra io non riesca più a sentirmi a mio agio in tua assenza.
È un labirinto che si arrotola su sè stesso per implodere nel più assurdo vicolo cieco in cui io mi sia mai trovata.
Vorrei una matita con la punta acuminata per restituirti sulla pelle tutti i puntini di sospensione che mi hai sgocciolato addosso da quando ci siamo conosciuti e già che ci sono, tantovale che mi si dia anche un fazzoletto di carta per soffiarmi via dal naso il tuo profumo, talmente tuo che se lo sento addosso a qualcun altro, quello diventa te.
Sono furiosa per la tua assenza e mi infurierò ancor di più quando tornerai perché l'unica cosa chiara, in tutta questa storia, è che non ti vorrei diverso da come sei, ma non ti posso aprire la porta finché non cambi...


martedì 4 luglio 2017

Di mutandine scucite e amicizie dimenticate...


Chissà se fa dimagrire anche tirar fuori quei ricordi che sono rimasti lì, sedimentati per anni e anni senza che mai una volta ci sia stato il bisogno di andarli a riesumare...
Io ci provo.
Tutto mi è tornato alla mente l'altro giorno, quando per caso ho visto passare una ragazza che non incontravo da una ventina d'anni (facciamo anche una venticinquina d'anni)...
Avete presente quelle persone che entrano un po' per caso nella tua vita, passano silenziosamente e se ne vanno, così come sono venute, senza lasciare la benché minima traccia?
O almeno ce lo crediamo.
Perché il nostro cervello è più infallibile delle telecamere di sorveglianza del benzinaio all'angolo e archivia meticolosamente ogni più piccolo istante che ci è passato addosso, o anche solo accanto...
Poi, però, c'è l'archivista: quello che, in stile Inside Out, dovrebbe essere capace di catalogare i ricordi come si deve.
Il mio col cavolo...
Si chiama Vattel di nome, Appesca di cognome, stipa ricordi in bell'ordine da decenni, ma poi si dimentica puntualmente dove diamine li ha ficcati e quando gli chiedo di tirarmi fuori una cosa in particolare, figurati se ci riesce... Si perde nei meandri sinaptici a frugare cassetti neuronali per giorni, fino a che la cosa che gli ho chiesto o non mi serve più, o nella migliore delle ipotesi, trova qualcosa di simile per assonanza o per colore e me la propina con candida innocenza e spropositato ritardo.
Ma l'altro giorno no.
L'altro giorno Vattel si è dimostrato di un'efficienza sospetta (secondo me tutta fortuna, del tipo che si trovava per caso di fianco al cassetto giusto e s'è detto "mò fingo di essere organizzato e faccio il figo").
Vedo questa tizia e mi si apre istantaneamente nella testa il suo fascicolo con tanto di documentazione audio/video: Deborah a dieci anni, matassa di capelli crespi biondino rossicci, pelle color biancolatte lentigginosa, voce roca e occhi gialli. Abbiamo gironzolato insieme un'estate di tanti anni fa e ci siamo dette poco o niente perché lei aveva uno strano tic che, mentre parlava, le faceva strizzare convulsamente un occhio e le stortava la bocca in una smorfia scomposta verso destra. Poi c'è stata quell'unica volta in cui mi ha chiesto (come fanno le femminucce vere) se l'accompagnavo in bagno che doveva fare pipì.
Io, che femminuccia vera non lo sono mai stata, mi son stranita un tantino, però poi mi era sembrato brutto dire di no e così l'avevo accompagnata.
Una volta entrati nello squallido bagnetto claustrofobico del caffé della piazzetta, lei si era trata giù i pantaloni e il mio occhio era cascato involontariamente sulle sue mutandine bianche a pois rosa che però, a dispetto della vezzosità della stoffa, esibivano due o tre vistosissimi buchi che lei (notando che avevo notato) giustificò dicendo, "Tanto le mutandine stanno sotto".
Non so descrivere esattamente quello che pensai in quell'istante. Fu un misto tra il disagio del "maddai, mica me le farebbe mettere mia madre delle mutandine conciate così" e lo stupore di un "cavolo, però è vero, son sotto e non si vedono, quindi chissenefrega".
Poi, uscimmo da quel bagno e mi dimenticai di tutto.
Mi dimenticai del disagio, dello stupore, delle mutandine bucate e, poco dopo, mi dimenticai ufficialmente anche di Deborah. E suppongo che lei si dimenticò ufficialmente di me perché, quando l'ho incrociata per strada l'altro giorno, non ha nemmeno alzato lo sguardo e ha tirato dritta senza batter ciglio.
A pensarci bene, esattamente come ho fatto io...

domenica 2 luglio 2017

L'unica mia costante è l'INcostanza...


E forse mi applico con notevole successo anche nell'incongruenza dei pensieri, nell'intorpidimento dei sensi e nell'indecifrabilità delle re(l)azioni.
Tutte robe IN, per capirci.
Prendiamo oggi, per esempio... Nell'ordine mi è stato detto che sono folle, che sono stupenda, che era meglio se parcheggiavo un po' più a sinistra, che sono INgrassata e che sono INadeguata.
Su tutto ha prevalso il pensiero che, quando mi guardo attraverso gli occhi degli altri, mi faccio un po' di tristezza.
E poi prevale anche il suo silenzio.
Ah no, mi ha appena mandato un messaggio vocale. Che faccio l'ascolto subito?
Naaaa...
Aspetto... ... ...
Perché con lui ostento indifferenza (altrimenti mica mi starebbe dietro se sapesse che i suoi messaggi hanno una suoneria diversa da quella di tutti gli altri e che acchiappo il telefono al volo ogni volta che mi scrive).
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Ascolto... ... ...

Chissà che mi pensavo.
Una boiata.
Riesce a deludermi ogni santa volta che ho uno straccio di aspettativa e poi, quando ormai non mi aspetto più nulla, fa cose che nessun essere umano ha mai fatto per me.
Ho un solo commento da fare al riguardo: "mma bboh... ... ...".

Ps: la foto lì sopra è di ieri notte, scattata un attimo dopo aver deciso di pucciare i piedi in mare e un attimo prima di essere stata travolta da un'onda decisamente anomala che mi ha fatto concludere la serata totalmente INzuppata.





mercoledì 28 giugno 2017

Lo faccio per dimagrire

Perché ho scoperto che le cose represse ci ingrassano e a me è venuta un po' di pancetta. Ergo: reprimo.
Soluzione?
Riapro un blog, così ci vomito dentro tutto quello che nel quotidiano non sta bene dire e via pancetta per sempre.
Sia chiaro, non voglio accaparrare lettori.
Sei un lettore? Pussa via...
Nulla di ciò che troverai scritto qua dentro sarà della benché minima utilità per te.
Ci troverai una sequela di emozioni scomode, sentimenti spanati, storie sghembe e forse bicchieri e bicchieri di latte raccolto dalle ginocchia di chi si è ostinato a leggere nonostante le mie raccomandazioni di girare il più possibile al largo.
Sei uno o una con un po' di pancetta anche tu e vuoi vedere se il mio metodo funziona e il mio adipe in eccesso si scioglie, post dopo post?
E allora comincia col sorbirti l'eclatante rivelazione del primo sentimento scomodo che non c'è verso di poter esternare al di fuori della blogosfera.
La confusione.
Sono confusa e non particolarmente felice (scusa Carmen, ma mica a tutti riesce il connubio). Per colpa mia innanzitutto, per colpa di Beppe in buona percentuale e, dulcis in fundo, per colpa del buco nero che risucchia tutte le emozioni, i sentimenti e le sensazioni che si sporgono oltre il bordo epidermico della mia persona.
Chi è Beppe?
Uno bello, ma talmente bello che non si può nemmeno più tirare in ballo il gusto personale. Per una serie rocambolesca di coincidenze durate una ventina d'anni, me lo sono ritrovato davanti la scorsa primavera e da allora non s'è più mosso.
Mi impedisce la visuale, mi urta, mi fa i dispetti, mi innervosisce e talvolta mi intenerisce, (ma più spesso mi innervosisce). Il perché continui a gravitare intorno a me, quando viene matematicamente calamitato da pianeti ben più giovani e tonici del mio è un mistero cosmico che mai mi spiegherò.
O forse un giorno proverò a spiegarmelo onestamente perché tanto, qui dentro, non ci metteranno mai piede né lui, né nessuna delle sei persone che teoricamente possono ricondurre queste parole a lui (secondo la teoria dei sei gradi di separazione).
E allora rieccomi blogosfera, sono tornata ad abitarti, seppur sotto mentite spoglie e l'ho fatto per poter smettere di mentire. Suona contorto, ma è così: per non mentire a noi stessi, spesso bisogna fingersi qualcun altro e spiarsi con noncuranza nello specchio delle proprie parole rotolate a valle come sassi e fango franati da una collina senza più alberi.
Abbracciami e perdonami se l'ultima volta sono scappata senza salutare.