mercoledì 26 settembre 2018

Miele di castagno

È un momento strano, spesso e dolce come miele di castagno: scuro e dal retrogusto amaro.
Ci nuoto dentro a rallentatore, appiccicoso, tiepido e denso a perdita d’occhio.
Insidioso come sabbie mobili, ma così irrimediabilmente soave.
Il cuore nello stomaco, ansimante e disorientata, immersa fino alle spalle…
Cerco un punto di fuga, tremante di indecisione e di energia repressa… Con la voglia di correre e saltare senza riuscirci, destinata alla moviola per chissà quanta altra strada ancora.
Coi vestiti impregnati, appesantiti, i capelli stopposi e il peso spostato in avanti per sfondare quel muro di scivoloso, sordido, ingannevole, dolcissimo miele.
I muscoli doloranti gridano al mio ego di arrendersi, piegare le ginocchia e lasciarsi sprofondare morbidamente in quel viscido tepore, nell’effimera illusione che il calore di quell’istante di abbandono basti a compensare l’inevitabile angoscia di sentirsi avviluppati in una morsa spietata, implacabile, irreversibile.
Gli occhi spalancati nell’ultimo e purtroppo inutile momento di lucidità a cogliere quel raggio di luce sempre più fioca, smpre più distante, finchè lo spasmo dei polmoni non raggiunge l’oscuro limite estremo della sopportazione alla disperata ricerca dell’unica cosa che prima aveva in abbondanza: l’aria.

martedì 25 settembre 2018

Il presente presente e la fatica del prima e del poi...

Mi dici che ci son discipline fatte apposta per insegnare a vivere nel presente, non perdendosi nel passato mentre si sta progettando un ipotetico futuro.
Ti dico che per me non ha senso perché io vivo in una bolla di sapone e in una bolla di sapone c'è spazio solo per il presente.
Mi sforzo tremendamente di ricordare il "fu" per non ripetere gli stessi errori e mi sforzo ancor di più di pensare al "poi" per porre le basi in vista di qualcosa. E questo perché vivo l'adesso e con "adesso" intendo proprio l'ora e il qui.
Per esempio, credi che abbia già pensato a dove voglio arrivare con tutto questo che sto scrivendo?
Macché... Intanto scrivo e da qualche parte arriverò.
E non voglio dire che io non programmi le cose.
Devo farlo e mi ci impegno anche parecchio. Se non lo facessi sarei sempre allo stesso identico punto di sempre. Come se uno camminasse tantissimo e fortissimo, ma su un tapis roulant. Perché il presente è continuamente presente. È il passo mentre lo stai facendo, la palpebra che si chiude mentre la stai chiudendo e si apre mentre la stai aprendo...


Alla faccia di chi dice che non esiste l'attimo presente perché nell'istante in cui lo pensi è già passato.
È sbagliato il soggetto.
Non è l'attimo a essere nel presente, sei tu. Sono io. Siamo nel presente senza scampo di essere altrove. Non puoi evitarlo nemmeno volendo.
Come caspita si fa a vivere più facilmente nel passato o ad avere la testa nel futuro? Per me è inconcepibile.
Sono carne, sangue, ossa, voce e pensieri, tutta intera nel presente.
Del capello caduto devo dire che non me ne può fregare di meno.
E del capello che cadrà non ne parliamo.
Il capello caduto che mi sta solleticando tra la maglietta e la pelle, ecco, quello sì che mi urta.
Se dovessi lasciar scorrere me stessa spontaneamente, senza dighe o deviazioni (cosa che talvolta non riesco ad evitare), mi ritroverei a chiudere la porta di casa dopo una giornata di lavoro dimenticandomi fuori tutto quello che è successo prima o che deve succedere dopo. Nomi, cose, città, persone, tutto, talvolta anche me stessa.
Che quando poi è capitato sul serio è stato un bel casino.
M'aveva detto: "Fammi uno squillino quando arrivi a casa" e io, "certo!!" (perché era l'una di notte, io tornavo a casa da sola su un bus pieno di albanesi ingrugniti e portoricani alticci, ci stava che si preoccupasse insomma).
Bè, io chiudo la porta arrivata a casa e via, quel che è dentro è dentro (cioè io), quel che è fuori è fuori (cioè tutto il resto, buoni propositi compresi). I cellulari fanno parte di quelle cose che fisicamente porto dentro, ma che poi, virtualmente rimangono fuori perché tanto c'hanno la batteria perennemente scarica.
È finita alle due di notte con una persona in pigiama davanti al mio portone che suonava disperatamente il campanello credendo di dover andare alla polizia a denunciare la mia scomparsa.
Forse è una forma di egoismo.
Anzi, sicuramente è egoismo.
Che questa tendenza, per quanto tremendamente liberatoria, non sia nè saggia nè naturale lo capisco da me e infatti cerco di combatterla, ma quello che non capisco è: se io, che sono già così, mi impegno con tutte le mie forze per esserlo il meno possibile, come diamine fai tu a passare la vita a insegnare ad altri a esserlo.
E se poi diventano come me?!?
Te lo immagini un mondo di gente che fa quello che sente nell'attimo in cui lo sente e come lo sente perché ormai ha preso a scorrere in quella direzione?
Che poi, ci son cose che faccio quando le sento e come le sento senza far danni, è vero, tipo buttar giù bigliettini dalla finestra alle due di notte per parlare di cinema con gli ultimi ragazzi della movida, rimasti a bere nel vicolo (io li vedo che alla fine se li conservano come un regalo inaspettato piovuto dal cielo i miei bigliettini, disabituati come sono ai messaggi scritti a mano...), ma ci son cose che invece qualche danno lo fanno perché, per antonomasia, una cosa fatta adesso per l'adesso, non può tener conto degli effetti che causerà sul poi. E allora magari mi vien da pensare che il mio essere qui adesso potrebbe farti soffrire poi, perché nel libro game della mia vita i bivi sono innumerevoli, ma nessuno mi porterà mai in direzione della porta che hai socchiuso tu quando mi hai intravista dallo spioncino.
Se il libro game fosse tra le tue mani e lo stessi leggendo, sapendo che alla fine io comunque scomparirò senza lasciare tra le tue dita nulla, al di fuori di semplici parole, cosa faresti? Continueresti a leggere o....

lunedì 24 settembre 2018

Voglia di scrivere...

...A prescindere da quello che si scriverà.
Ti è mai capitato?
Secondo me sì.
A scrivere non è mai il cervello.
Il cervello filtra, per carità. Il cervello rilegge, talvolta cancella. Ma non è mai il punto di partenza. Il punto di partenza sono le viscere.
Si comincia con quella spinta, giù, là, alla base degli intestini e senti quel qualcosa che sale inesorabile come schiuma di birra sulle pareti solleticandoti dall'interno e poi su, fino in gola, e dalla gola si spande in tutte le direzioni, toccando anche i muscoli delle braccia che incominciano a fremere di energia repressa. Un pizzicore ai polpastrelli ti segnala la saturazione e le cose son due: o ingoi, ingoi e ingoi ricacciando tutto sul fondo, o cominci a scrivere e lasci che questo fiume di birra si trasformi in parole di cui non hai nessun controllo.

Ora, in tutto questo processo, ti devo confessare che mi succede una cosa strana che magari succede anche a te: i concetti mi vengono fuori al contrario. Se le cose hanno un ordine (e ce l'hanno), dal mio corpo escono puntualmente nell'ordine inverso. Sta poi al cervello ribaltarle in un secondo momento. Infatti non ti credere che questo post non sia passato per lo stesso processo: la prima cosa a venir fuori sono stati i polpastrelli che pizzicano e poi a ritroso, fino a rendermi conto che, com'è ovvio che sia, il punto di partenza stava esattamente alla fine di ciò che avevo scritto. Così ho preso tutto e l'ho ribaltato.
E la cosa veramente buffa è che, riflettendoci, non solo le cose ci escono al contrario, ma ci entrano anche al contrario. Prendi le parole che stai leggendo in questo momento: ti arrivano passando attraverso le tue pupille e impressionandosi sulla retina, ma indovina un po'? Sono capovolte.
Saranno poi gli impulsi inviati attraverso il nervo ottico a fornire all'encefalo le informazioni necessarie all'elaborazione dell'immagine, nonché al suo raddrizzamento.

Detto ciò, secondo me il nervo ottico del mondo s'è rotto. Guardo quello che accade ed è tutto al contrario: i cattivi prosperano, i buoni annaspano, la disonestà è premiata, l'onestà è un fastidioso contrattempo, i sì sono no e i no sono sì...
Quando sarà riparato il nervo ottico, ci sarà un grande encefalo che raddrizzerà tutto, io credo.

domenica 23 settembre 2018

La nostra natura e il dover essere da qualche parte per non essere altrove

È indubbio che ognuno ha la propria natura, ma è anche vero che si può scegliere di cambiarla. È faticoso, ma possibile. Basta remare controcorrente, costantemente, senza tregua e possibilmente non completamente da soli, ma talvolta si è costretti a farlo anche da soli se non si vuole perdere del tutto la rotta.
L'importante è non smettere di remare, perché quando lo si fa la corrente prende e porta via... Dio solo sa quanto è più facile lasciarsi portare dalla corrente piuttosto che remare, ma la direzione non è quella giusta, o meglio, non è quella che ho scelto io.

Ricominciare a remare dopo un periodo in cui ci si è lasciati trascinare dalla corrente è straziante e non si piò contrastare la corrente per dritto, non ci si riesce neanche volendo. Occorre bordeggiare, nel tentativo di riacquistare un po' di slancio, un po' di velocità, sperando di sentire cuore e muscoli che riprendono a pulsare dalla voglia di funzionare di nuovo.
Tu mi hai trovata in un momento di bordeggio, anzi, oserei dire quasi di stasi.
Uno dei miei libri preferiti, parlando del cuore, dice che è ingannevole e difficile da correggere. La veridicità di certe parole la si può intuire, ma la si capisce appieno solo quando si consapevolizza di esserci cascati con tutte le scarpe.
Alcuni di noi passano parte della vita a convincersi di star bene da soli (io per lo meno l'ho fatto) e in parte è anche vero: si rema meglio, senza intralci, si segue la rotta che ci sembra migliore... Insomma, funziona. Poi ci si trova di fronte qualcuno che sembra proprio essere della forma giusta per incastrarsi nel puzzle che abbiamo costruito giorno dopo giorno e ci si dimentica della rotta, ci si dimentica di remare, ci si concentra su orizzonti che non sono quello che ci siamo scelti.
Io ho passato gli ultimi due anni a cercare di far andare d'accordo testa e cuore, ma si è rivelata una lotta impossibile. Da una parte il cuore remava a destra e dall'altra la testa gli remava contro. È come se per due anni non avessi fatto altro che girare su me stessa...
Poco tempo fa ho deciso che era ora di smetterla, ma per riprendere la mia rotta e concentrarmi solo sul mio orizzonte ho dovuto tagliare la fune che mi teneva legata a questa barca che si incastrava perfettamente con la mia, ma non aveva alcuna intenzione di remare con me, nella mia direzione, alla stessa velocità. Già remare per sè stessi è difficile, per due la fatica è sovrumana, se poi capita che nell'altra barca qualche volta si remi anche al contrario allora diventa completamente impossibile.
Liberarsi di quello che era solo un peso o un intralcio dovrebbe sembrare la soluzione definitiva al problema, ma siccome il cuore è ingannevole, si innesca un meccanismo perverso che ti fa improvvisamente dimenticare i motivi che ti hanno portato a tagliare la fune e ti fanno solo sentire il peso dell'assenza, della solitudine che torna.
La difficoltà, non è tanto ricominciare a remare nella giusta direzione, ma desiderare di volerlo fare, perché l'unica cosa che i tuoi muscoli sembrano desiderare ora è tornare indietro a recuperare ciò che abbiamo lasciato andare alla deriva.
Fortunatamente ho una testa che sa esattamente cosa è giusto e cosa è sbagliato per me e per la mia vita e così, per non cedere alla tentazione di tornare indietro, mi sono gettata in mezzo a quella bolgia di voci, persone, chiacchiere e boiate, nel tentativo di trovare qualcosa che mi distraesse e mi facesse dimenticare la voglia di cercarlo di nuovo, vanificando i miei propositi.
In quella bolgia ho trovato te e ho capito cosa mi serviva: tornare a scrivere.
Però io non so scrivere senza meta, ho bisogno di tendere verso qualcosa: ho bisogno di scrivere per qualcuno che sappia leggere.
Tu sai leggere.
E so che hai capito cosa intendo. È come se tu dipingessi un quadro e lo vedessero mille persone, ma tra quelle mille ne scorgi una che osserva le pennellate, le comprende, valuta l'accostamento dei colori e nota anche le sbavature. A quel punto ti accorgi che è valsa la pena dipingere quel quadro per farlo passare da quegli occhi.
Quindi eccomi a chiedertelo: ti va di diventare il mio unico lettore?