martedì 25 settembre 2018

Il presente presente e la fatica del prima e del poi...

Mi dici che ci son discipline fatte apposta per insegnare a vivere nel presente, non perdendosi nel passato mentre si sta progettando un ipotetico futuro.
Ti dico che per me non ha senso perché io vivo in una bolla di sapone e in una bolla di sapone c'è spazio solo per il presente.
Mi sforzo tremendamente di ricordare il "fu" per non ripetere gli stessi errori e mi sforzo ancor di più di pensare al "poi" per porre le basi in vista di qualcosa. E questo perché vivo l'adesso e con "adesso" intendo proprio l'ora e il qui.
Per esempio, credi che abbia già pensato a dove voglio arrivare con tutto questo che sto scrivendo?
Macché... Intanto scrivo e da qualche parte arriverò.
E non voglio dire che io non programmi le cose.
Devo farlo e mi ci impegno anche parecchio. Se non lo facessi sarei sempre allo stesso identico punto di sempre. Come se uno camminasse tantissimo e fortissimo, ma su un tapis roulant. Perché il presente è continuamente presente. È il passo mentre lo stai facendo, la palpebra che si chiude mentre la stai chiudendo e si apre mentre la stai aprendo...


Alla faccia di chi dice che non esiste l'attimo presente perché nell'istante in cui lo pensi è già passato.
È sbagliato il soggetto.
Non è l'attimo a essere nel presente, sei tu. Sono io. Siamo nel presente senza scampo di essere altrove. Non puoi evitarlo nemmeno volendo.
Come caspita si fa a vivere più facilmente nel passato o ad avere la testa nel futuro? Per me è inconcepibile.
Sono carne, sangue, ossa, voce e pensieri, tutta intera nel presente.
Del capello caduto devo dire che non me ne può fregare di meno.
E del capello che cadrà non ne parliamo.
Il capello caduto che mi sta solleticando tra la maglietta e la pelle, ecco, quello sì che mi urta.
Se dovessi lasciar scorrere me stessa spontaneamente, senza dighe o deviazioni (cosa che talvolta non riesco ad evitare), mi ritroverei a chiudere la porta di casa dopo una giornata di lavoro dimenticandomi fuori tutto quello che è successo prima o che deve succedere dopo. Nomi, cose, città, persone, tutto, talvolta anche me stessa.
Che quando poi è capitato sul serio è stato un bel casino.
M'aveva detto: "Fammi uno squillino quando arrivi a casa" e io, "certo!!" (perché era l'una di notte, io tornavo a casa da sola su un bus pieno di albanesi ingrugniti e portoricani alticci, ci stava che si preoccupasse insomma).
Bè, io chiudo la porta arrivata a casa e via, quel che è dentro è dentro (cioè io), quel che è fuori è fuori (cioè tutto il resto, buoni propositi compresi). I cellulari fanno parte di quelle cose che fisicamente porto dentro, ma che poi, virtualmente rimangono fuori perché tanto c'hanno la batteria perennemente scarica.
È finita alle due di notte con una persona in pigiama davanti al mio portone che suonava disperatamente il campanello credendo di dover andare alla polizia a denunciare la mia scomparsa.
Forse è una forma di egoismo.
Anzi, sicuramente è egoismo.
Che questa tendenza, per quanto tremendamente liberatoria, non sia nè saggia nè naturale lo capisco da me e infatti cerco di combatterla, ma quello che non capisco è: se io, che sono già così, mi impegno con tutte le mie forze per esserlo il meno possibile, come diamine fai tu a passare la vita a insegnare ad altri a esserlo.
E se poi diventano come me?!?
Te lo immagini un mondo di gente che fa quello che sente nell'attimo in cui lo sente e come lo sente perché ormai ha preso a scorrere in quella direzione?
Che poi, ci son cose che faccio quando le sento e come le sento senza far danni, è vero, tipo buttar giù bigliettini dalla finestra alle due di notte per parlare di cinema con gli ultimi ragazzi della movida, rimasti a bere nel vicolo (io li vedo che alla fine se li conservano come un regalo inaspettato piovuto dal cielo i miei bigliettini, disabituati come sono ai messaggi scritti a mano...), ma ci son cose che invece qualche danno lo fanno perché, per antonomasia, una cosa fatta adesso per l'adesso, non può tener conto degli effetti che causerà sul poi. E allora magari mi vien da pensare che il mio essere qui adesso potrebbe farti soffrire poi, perché nel libro game della mia vita i bivi sono innumerevoli, ma nessuno mi porterà mai in direzione della porta che hai socchiuso tu quando mi hai intravista dallo spioncino.
Se il libro game fosse tra le tue mani e lo stessi leggendo, sapendo che alla fine io comunque scomparirò senza lasciare tra le tue dita nulla, al di fuori di semplici parole, cosa faresti? Continueresti a leggere o....

5 commenti:

  1. Si continuerei a leggere.
    Comunque non so se tu ti riferisca a me quando sostieni che io dica che ci sono discipline atte a insegnare a vivere nel presente, non perdendosi nel passato e progettando un ipotetico futuro.
    Non so se lo abbia detto. Ma nel caso ci siamo capiti male perché non lo penso.

    Io vivo. Dicono. Poi magari non vivo. Non lo so. E passato, presente, o futuro, non so nemmeno quello.
    Si dice che io ci sia. Ma non saprei. Lungi da me, dovessi mai esprimere qualcosa, essere d'accordo con quella cosa, o esserne sicuro, o imporla. O sapere di stare dicendo qualcosa. E poi magari è tutto l'opposto. E si capovolge di nuovo, e di nuovo.
    Silenzio? Buio? Finestre aperte? Rumori? Parole? Con l'esclamativo, con l'interrogativo.
    ...

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  2. No, non mi riferivo a te... Mi riferivo a parole sentite tanto tempo fa.
    Talvolta scrivo confuso, lo so, perdonami.
    L'ho capito che sei un relativista, quello che non ho capito è: a cosa ti aggrappi se nulla è solido, se tutto è mutevole e indefinito?

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  3. Non mi pongo la questione.

    Ora penso a te, che poni il matrimonio come punto. E a me, desideroso so solitudine, e quindi in fondo non conciliabile con quell'idea.
    E penso che appunto, si, tu continui a scrivere e io a leggere, e viceversa.
    Dissertiamo "tranquilli" nonostante tutto. E al resto ci pensiamo e non ci pensiamo. Andiamo avanti senza metterci le mani dei capelli. Abbiamo questo in questo presente, e lo cavalchiamo; ci va, senza fasciarci la testa.

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    1. Guarda che dicevo sul serio...
      Come fai a non porti una questione che si pone da sola tutta intorno a te?
      Ti avvolge, ti trascina dove vuole la corrente, ti rovina sulle rocce taglienti disseminate sul greto del tempo che passa e ti fa a brandelli se non hai qualcosa di solido a cui aggrapparti.
      Qual è la mano a cui ti aggrappi quando senti che il gorgo ti tira verso il fondo e non hai più la forza per restare a galla da solo?

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  4. Resto a brandelli, ma a mio agio in quel disagio, che quando ho provato a invertire ha solo mandato a fuoco la casa.
    Imparo a gestire i brandelli, il disagio nell'agio.

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